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Dott,ssa Mirka Salimbeni
Guida / Territorio Valtiberino
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Il fantasma della Sora Laura: la leggenda di Città di Castello
Sono tanti i motivi per i quali il Palazzo Vitelli alla Cannoniera di Città di Castello merita una visita. Oltre alla bellezza e all’interesse architettonico dell’edificio – esempio di nobile dimora rinascimentale – e oltre all’importanza delle opere d’arte che si trovano al suo interno – dai primi del Novecento ospita infatti la pinacoteca comunale – questo edificio è infatti famoso anche per la leggenda della Sora Laura. Un antico mistero legato a un fantasma è infatti racchiuso nelle sue eleganti sale. La storia risale alla prima metà del 1500, quando il palazzo fu fatto costruire, dove prima sorgeva una fonderia – da qui il nome – in occasione delle nozze del condottiero Alessandro Vitelli con la nobile Angela Paola dei Rossi di San Secondo Parmense.
La leggenda della Sora Laura a Città di Castello
Secondo la leggenda Vitelli e la sua sposa vissero per poco tempo nel palazzo perché ben presto il condottiero convinse la moglie a trasferirsi in un’altra dimora di famiglia, Palazzo Vitelli a San Giacomo. L’intento era quello di riservare la Cannoniera alla sua amante, Laura. Giovane e di umili origini, ma bellissima e affascinante, la donna si stabilì quindi nell’edificio e il condottiero potè così vivere liberamente la sua passione per lei, lontano dalla moglie, terribilmente gelosa. All’inizio Laura, o la Sora Laura, come veniva chiamata in città, restava tranquilla ad aspettare il suo amante per tutto il tempo in cui egli era lontano e trascorreva le sue giornate a ricamare fazzoletti. Ma i periodi di separazione dal Vitelli erano molto lunghi e frequenti e la giovane iniziò a soffrire fortemente la solitudine. Si racconta che un giorno vide passare sotto la sua finestra un cavaliere che la colpì per la sua bellezza. Laura fece quindi cadere a terra uno dei fazzoletti che aveva lavorato, attirando così l’attenzione dell’uomo che diventò il suo amante. Dopo qualche tempo però la giovane iniziò a temere che Alessandro Vitelli la scoprisse e, in ansia per le conseguenze che questo avrebbe portato, decise di eliminare quel compagno di letto che clandestinamente continuava a recarsi a palazzo. Per lui pianificò una morte terribile e senza scampo: lo fece cadere in una botola il cui fondo era ricoperto di lame. Si racconta tra l’altro che il cavaliere fu il primo di una serie di uomini che la Sora Laura adescò e sedusse, per poi liberarsene facendoli finire trafitti in fondo al trabocchetto nascosto nei pressi dell’uscita posteriore dell’edificio: in quegli anni sembra che furono più di uno i ragazzi di Città di Castello che sparirono in modo misterioso. Ma arrivò il momento in cui qualcuno prese l’iniziativa di punire le malefatte di Laura: fu proprio la moglie di Vitelli che, dopo aver scoperto il tradimento del marito, decise di avere vendetta assoldando un sicario e facendo uccidere la sua rivale. Da qui nasce la leggenda del fantasma della Sora Laura che sarebbe rimasto intrappolato nel palazzo, in cerca di perdono e di redenzione per le crudeltà commesse
Cammini, Sentieri e Percorsi della Valtiberina Umbra e Toscana oltre che la Via di San Francesco


Percorso Ciclo-Pedonale e a cavallo del Tevere
Il percorso fluviale del Tevere si snoda su di un percorso di venti chilometri con partenza dal ponte sul Tevere a Città di Castello dove è posta la sede nautica del Canoa Club di Città di Castello e da dove è possibile effettuare discese sotto la guida di esperti canoisti.
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Dott.ssa Veronica Thanin - Guida ciclopedonale Turistica in Valtiberina Umbra
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In Valtiberina, esistono vari maneggi, sia nella zona Umbra che in zona Toscana con istruttori e accompagnatori che saranno bel felici di farti da riferimento. C.I.T.


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Percorsi in Valtiberina di: Bassa Difficoltà
In genere in ogni percorso, il punto di arrivo, coincide quasi sempre con un punto di ristoro, dove è possibile rifocillarsi, mangiare e bere qualcosa, riposarsi e gustarsi un pò di meritato riposo a contatto con la natura, nonchè trovare piccole realtà, come mulini, cascate, fiumiciattoli e fare incontri durante il percorso, con la fauna locale, come scoiattoli, cerbiatti, cinghiali e uccelli di ogni genere come pavoni. EU



Leggende della Valtiberina:
all’interno delle mura di Scalocchio esisteva una chiesa dedicata a San Bernardino e fino agli anni sessanta il castello ha conservato il carattere di borgo rurale autonomo e bene organizzato, mentre oggi è ridotto ad un ammasso di rovine.
Il castello di Scalocchio e l’abbazia di San Benedetto, tra le più importanti della Massa Trabaria, occupano una lingua di terra che ricade nel territorio del Comune di Città di Castello, situata in prossimità del confine con le Marche.
La fortezza si erge sulla collina soprastante l’Abbazia di San Benedetto e nel medioevo fu oggetto di aspre contese fra Città di Castello e gli Ubaldini di Apecchio.
Si trattava, infatti, di un’abbazia fortificata per difesa contro i rivali vicini, situata in una posizione strategica per il controllo della viabilità e del territorio.
Nella seconda meta del XIV sec. gli Ubaldini rivendicarono diritti su queste terre per aver dato in sposa Ambrogia di Tanuccio a Brancaleone Guelfucci, un noto personaggio tifernate, che, cacciato dalla città, fece di Scalocchio il suo feudo.
I castellani ripresero il fortilizio dopo la sua morte, nonostante la strenua difesa del figlio Andrea.
Fu una violenta battaglia che portò alla distruzione del castello dove i monaci peraltro custodivano gli oggetti sacri e più preziosi del monastero.
Questo fatto ha contribuito ad alimentare la leggenda su un presunto tesoro che, secondo la tradizione, sarebbe ancora nascosto fra questi ruderi.
Con la distruzione del castello inizia probabilmente anche il declino dell’abbazia, avvenuto nel XV sec. e infatti nella visita apostolica del 1571 Mons. Della Rovere non vi trovò più alcun monaco, soltanto un cappellano mantenutovi dall’abate commendatario di allora.
Nei secoli successivi non si parlerà più dell’abbazia ma il castello resterà oggetto di contese belliche tra Città di Castello Apecchio e la Massa Trabaria.
Aspetto
I resti della fortificazione conservano parte della doppia cinta muraria di forma irregolare, necessaria per adattare la costruzione al profilo del terreno scosceso; una situazione dalla quale il castello traeva gran parte del suo potenziale difensivo.
Dall’alto del colle il fortilizio dominava il territorio circostante, mentre l’abbazia era crocevia di flussi umani e commerciali.
Qui convergono strade che risalendo i corsi d’acqua conducono in Valtiberina, ed altre, sul versante orientale, che si dirigono nelle Marche attraverso gli abitati di Mercatello, di Sant’Angelo in Vado e di Apecchio.
La leggenda del Vitello d’oro
La tradizione vuole che nel castello di Scalocchio si trovi un pozzo profondo più di cento metri, dislivello sufficiente per pescare le acque del Candigliano, nelle cui pareti si apre un cunicolo che porta ad un ambiente sotterraneo.
Secondo alcuni li si troverebbe il tesoro dell’abbazia, vale a dire calici, ostensori, pissidi ed altri oggetti di carattere ecclesiastico, mentre altri sostengono che vi sia un vitello d’oro.
Ispezioni condotte nel pozzo, ancora visibile, situato nel torrione, hanno rivelato una conformazione diversa da quella descritta, con pochi metri di strettoia terminanti in una grande cisterna piena d’acqua e pareti prive di aperture.
E’ certa l’esistenza di un altro pozzo, chiuso perché ritenuto pericoloso per la sua profondità, di cui nessuno ricorda l’ubicazione esatta: alcuni dicono che fosse situato presso l’entrata del castello, altri che si trovasse all’interno dell’ultima casa, la più lontana dal torrione.
Se di tesoro si tratta non è certo il Vitello d’oro ma i corredi sacri del vecchio monastero.
La storia del vitello presente un po’ ovunque ha una spiegazione storica: nei primi anni del 1500 con la protezione del papa Alessandro VI, Cesare Borgia (suo figlio) detto “Il Valentino” stava conquistando tutti gli stati dell’Italia centrale, grazie all’aiuto dei più valenti capitani di ventura; fra questi Vitellozzo Vitelli, signore di Città di Castello, che sperava che il Borgia non avrebbe toccato i territori che appartenevano alla sua famiglia da 35 anni.
Ma il 31 dicembre 1502 Vitellozzo fu fatto strangolare a Senigallia e Castello fu occupata dal Valentino che costrinse il Vescovo Giulio Vitelli a rifugiarsi a Venezia.
Il 18 agosto 1503 con la morte del Papa, crollò il dominio dei Borgia ed il Vescovo Giulio rientrò nei suoi possedimenti.
Per celebrare questo avvenimento e far sapere a tutti che Città di Castello era ritornata ai Vitelli, il Vescovo fece fondere un vitello dorato, simbolo della famiglia, e lo mandò con un banditore per tutti gli Stati limitrofi.
Quindi un vitello d’oro aveva attraversato lo Stato di Urbino, le Romagne, parte della Toscana e l’Umbria, lasciando impressa nella mente della gente l’immagine mitica dell’oggetto prezioso per eccellenza.
Così nacque la leggenda e da allora in poi ogni tesoro nascosto viene identificato nel vitello d’oro.
La convinzione popolare è che il vitello d’oro sarebbe ancora nascosto nella cima delle Lucaie fra Scalocchio e Botina.
Il Mulino misterioso
A monte del castello vicino alle sorgenti del fiume Cordigliano era segnalata l’esistenza di un piccolo mulino nel quale, oltre alle macine tradizionali, sembrava fosse presente una macina che lavorava in piedi, analoga, cioè a quelle che schiacciando le olive producono olio; che ci faceva tale macina se nella zona non esistono ulivi a causa dei rigidi freddi invernali? Che uso aveva?
Sono state avanzate diverse ipotesi: una di queste è che la macina servisse per frantumare il guado che dopo un semplice procedimento lavorativo produceva una polvere per tingere le stoffe di colore indaco-azzurro.
Altra ipotesi è che i frati dell’abbazia avendo possedimenti sparsi anche nelle pianure di Città di Castello trasportassero le olive a questo mulino per prodursi l’olio da soli.
Altra ipotesi, forse la più accreditata, è che i monaci con tale macina verticale producevano olio di noci, pianta invece molto diffusa, e l’olio serviva per alimentare le lampade ad olio e per illuminare la statua del vitello.


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EUGENIO CASTAGNOLI - Cultore Ambiente e del Territorio del Centro Italia



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